domenica 2 dicembre 2012

L’ORTO MONASTICO DI SAN BARTOLOMEO. VOCAZIONE SOCIALE E SIMBOLO DELLA CULTURA PISTOIESE


Via del Bottaccio (I. Biagini)
di Lorenzo Cristofani

PISTOIA. C’è un’immagine di Pistoia che mi è particolarmente cara. È il dipinto di Ireneo Biagini, qui a fianco. Raffigura Via del Bottaccio, quella curiosa e scoscesa stradina che da piazza San Bartolomeo porta, dopo una virata a novanta gradi, in Via Dei Baroni.
In primo piano, con la bicicletta, è rappresentato Silvio Innocenti, l’ortolano di San Bartolomeo, una figura certamente ancora vivissima nel ricordo di tanti pistoiesi di una certa età. Un ricordo che le 74 immagini della rassegna figurativa Pistoia com’era, del maestro Biagini, cercano di trasmettere a chi, per motivi anagrafici, ha mancato di conoscere la città del primo Novecento.

Tutto sommato l’orto di San Bartolomeo, delimitato appunto su un lato da Via del Bottaccio, quel glorioso e verde – ma di un verde inusitato nella tonalità cromatica – orto che dal tempo dei Longobardi è rimasto un invariante storico e urbanistico, costituisce uno degli elementi paesaggistici più suggestivi e autenticamente rappresentativi di quel periodo.
I vari ordini monastici lo hanno coltivato a frutteto, a frumento e usato come pascolo per gli animali; con le prime attività manifatturiere dei Lorena sono arrivati i gelseti per la bachicoltura del baco da seta e infine si approda al dilemma contemporaneo: devastazione/sventramento per il parcheggio interrato o un garden new deal?
Sfogliando il catalogo pittorico appena menzionato, ricco di rievocazioni di aspetti intimi della quotidianità della città degli orti, fermata sulla tela da Ireneo Biagini, pare normale svolgere alcune riflessioni.
San Bartolomeo
Certo è che allora la città aveva un aspetto decisamente rurale; le persone si fermavano sistematicamente alle edicole devozionali e ai tabernacoli per recitare, in raccoglimento, la rapida giaculatoria e ripartire, di passo svelto ma senza fretta: «Lodato sempre sia il santissimo nome di Gesù, di Giuseppe e di Maria», «Passando per questa strada, ti saluto o Madre Beata. Passando per questa via, Ti saluto o Madre mia».
Oggi la toccante narrazione visiva del professor Biagini, donata al Comune di Pistoia dai suoi eredi nel rispetto testamentario, giace purtroppo prigioniera e nell’oblio dell’Ufficio Tecnico, agli ex macelli.
Vorrei proporre a Claudio Rosati, che ha avuto l’incarico – chi meglio di lui? – a titolo gratuito, di riorganizzare la macchina museale e i servizi culturali del Comune di Pistoia, di restituire uno spazio espositivo, degno e fruibile, per questa collezione e di organizzare percorsi didattici per i giovani. Percorsi didattici inerenti alle tavole e diretti alla riscoperta dei luoghi da esse ritratti, che sono i luoghi delle nostre radici, in cui sono nati e vissuti i nostri parenti, il cui ricordo rimane indissolubilmente legato alla memoria dei luoghi stessi.
Il libro
I grossi cocomeri raccolti da Silvio l’ortolano ne rappresentano un semplice esempio e rimando. Una testimonianza ulteriore di quella galassia di varia umanità la consegna anche il libro di Gaetano Severini e Marco Paolini, Il Quartiere di Porta San Marco, una città – è stato definito – nella città.
Il quartiere aveva, tra le varie peculiarità, un’altissima densità di vivai e addirittura recava i cartelli stradali con le indicazioni chilometriche che lo separavano – sì, proprio San Marco! – dalle altre città italiane.
Il volume, che prossimamente uscirà nella seconda edizione, esala quasi l’odore del ventre di Pistoia: il brulichio e il fervore di quel tessuto urbano e di relazioni, con la festa del gallo, il magazzino della Gennì e l’orticoltore Nerozzi, scopritore del monastero di San Michele in Forcole. Tutti elementi che, chiudendo gli occhi per un istante, sembra di ritrovare, simboleggiati, nell’ orto di San Bartolomeo.
Ed eccoci, in conclusione, con una riflessione aperta, al dilemma iniziale sull’orto monastico.
Nell’Ottocento giardini e parchi pubblici, intesi come servizio per la collettività, diventano un elemento caratterizzante dello sviluppo urbanistico delle metropoli europee, in conseguenza del fenomeno di inurbamento, che rende il verde elemento raro e prezioso.
Nel Sud Italia si affermano, ex novo, le cosiddette ville comunali, altrove vengono trasformati ad uso pubblico giardini di pertinenza di palazzi reali o nobiliari.
Bene, è lecito chiedere ai cittadini tutti, alle istituzioni e agli amministratori pistoiesi, se nella capitale del florovivaismo e del verde per estensione, è possibile destinare l’orto monastico di San Bartolomeo, con la preliminare e ragionevole intesa con la proprietà – la parrocchia – ad un uso rispettoso della sua vocazione millenaria?
In altre parole si vuole chiedere se è sensato ritenere che la terra vergine più estesa e significativa del centro diventi il valore aggiunto di Pistoia social business city e dei suoi abitanti, anche strumento di eventuale promozione turistica e commerciale – prima di esportare il verde si deve essere in grado di viverlo in patria! – ovviamente in sinergia e con la condivisione dei proprietari dell’area, che so essere sensibili e disponibili.
Si può in definitiva avviare un confronto approfondito e sincero sulle possibilità di gestione polifunzionale di quest’orto, così imbevuto di cultura e specchio di un modo di vita che è stata vissuta per secoli?

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Domenica 2 dicembre 2012 - © Quarrata/news 2012]

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