giovedì 13 dicembre 2012

IVANO PACI. E SUA SANTITÀ RISPOSE, MA NON PORSE L’ALTRA GUANCIA…

di EDOARDO BIANCHINI

PISTOIA. Stamattina, con una mail delle 11:51, il Chiarissimo Professor Ivano Paci ha deciso di degnarsi e mi ha inviato le evangeliche parole – per altro emblematiche e significative, come ognuno potrà vedere – che seguono:

Egregio signor Bianchini,
se lunedì sera a Montale, si fosse fatto conoscere, l’avrei salutata volentieri.
O, se fosse intervenuto nella discussione, avrei potuto rispondere alle Sue critiche, in un confronto civile, cosa che a Lei evidentemente non interessa.
Ha preferito farci un pezzo da par suo, distillando veleno gratuito.
Nel Suo commento su Quarrata News, Lei mi ha fatto dire cose che non ho detto ed ha volutamente travisato, a scopo meramente polemico, quello che ho detto: credo potrebbero confermarLo i numerosi presenti, e comunque dispongo casualmente di una registrazione dell’intera serata.
Da quanto Lei ha scritto ho avuto la conferma di quale pasta sia fatto il Suo “onesto” giornalismo, che non mira ad informare ma cerca o crea solo pretesti per insultare, alludere e insinuare, come fa il Suo collaboratore Felice De Matteis, che intinge la penna nello stesso inchiostro, forse pensando di servire qualche causa o forse servendola veramente.
Come vede, questa volta ho risposto, non nel merito del Suo commento; Lei, avendo studiato al Forteguerri, e sapendo di greco e di latino, è troppo più colto di me, che ho cominciato facendo l’avviamento al lavoro indirizzo commerciale.
Ma, per rispetto di coloro che mi hanno ascoltato a Montale, non potevo tacere. Ma non la disturberò una seconda volta.
Sappia peraltro che nella mia ormai lunga vita, mi è già capitato di incontrare falsi e sedicenti pubblicani, dai quali guardarsi più che dai farisei.
La saluto.
Ivano Paci

Caro Ivano,
poiché tu scrivi ‘egregio signor Bianchini’, mi sento autorizzato, da buon popolano senza diritto a titolo accademico, a darti del tu nella mia miseria: e non sarà certo una mancanza di rispetto, dato che del tu si dà comunque a chi è ben più di te e a cui tu ti rifai con tanta esibita sicurezza. Del resto… tu solo, o Signore, hai parole di vita eterna.
Se lunedì sera a Montale ho fatto quello che ho fatto, ho forse calpestato un diritto umano? O non avrò avuto ogni diritto di poterlo fare? C’è una legge che impone di dover intervenire, presentarsi, genuflettersi e intavolare una discussione ad ogni costo? O può, il giornalista, anche quello onesto fra virgolette, come scrivi tu, limitarsi ad ascoltare e a raccontare? È dovere aristotelico o machiavellico partecipare alla discussione?
Alle critiche puoi benissimo rispondere anche per scritto, Ivano: e in un confronto civile che, però, a te, dimostratamente dalle tue parole, non interessa affatto o altrimenti non avresti parlato con il tono che hai assunto. E ora, contrariamente a te che non argomenti e non motivi, te ne darò le prove.
Dici che ho preferito «farci un pezzo da par mio, distillando veleno gratuito»: e, come al solito – e come del resto ti ho scritto anche nel mio pezzo a tuo parere malevolo – non hai dato una e una sola prova motivata, argomentata di ciò che sostieni. Ed è per questo che, se tu fossi venuto a sostenere l’esame da me, mio caro Ivano, ti avrei dovuto congedare senza troppi indugi: magari sbarrandoti anche il libretto e, come usava un tempo, scrivendoti un bell’8 come risultato. 8 trentesimi, s’intende.
I “pari miei”, caro Ivano, come vedi, sono lontani anni luce da te e dai “pari tuoi”: abituati a chinare il capo dinanzi alla tua indiscussa autorità, per amore o per forza.
I “pari miei”, ben pochi (sembra) in questa città omertosa e compressa dai poteri (uno dei quali è, indubbiamente, anche il tuo) hanno la forza e il coraggio, o – se preferisci – l’evangelica semplicità (di cui dovresti avvalerti: e ti farebbe bene) di chiederti apertamente, dinanzi a mille lettori, come ti senti e come ti concilii tu, in un’unica stessa pelle, con l’ossimoro Potere/Vangelo, Quattrini/Povertà, Benessere/Malessere: che sono le stesse domande, mio caro incomparabile amico, che quel pover’uomo di San Francesco fece a suo padre, vivente nel grasso di una ricchezza che è, dal punto di vista dell’ottica francescana e cristiana, un insulto all’umanità che soffre e che arranca, cionca e azzoppata com’è da quel potere che tu, lunedì a Montale, hai esaltato perché, fortunatamente, il Vangelo non dà soluzioni per la vita né consigli per gli acquisti, ma lascia tutto al libero arbitrio di chi, il potere, lo esercita. Sai quel potere che… logora quelli che, come me, giornalisti “onesti”, il potere non lo hanno? Ma che però non vivono neppure nel grasso… nel prodiebat tamquam ex adipe iniquitas mea del caro Sant’Agostino d’Ippona, che non credo ti sia molto familiare.
Voglio perciò ricordarti che finché tu non dirai esplicitamente cos’è e qual è il veleno distillato di cui tu mi parli, mio buon fratello cattolico, sei e resti senza mutande, dal punto di vista della costruzione della tua tesi: sei quindi da non laureare, anche se fai parte (e sottolineo: solo per cooptazione, come è sempre avvenuto e avviene nel tuo beato mondo cristiano-accademico) del caravanserraglio dei Prof., ovverosia di coloro che, a forza di sapere, di saper fare e di saper dire, hanno portato questo nostro sciagurato Paese a questo miserevole punto. E non lo dico, attento!, per sostenere Berlusconi: perché il Cavaliere va d’accordo con voi, gente di Banca – di quegli stessi cambiavalute a cui il tuo Signor Gesù Cristo rovesciò i banchetti del mercatino del tempio, casomai ti fosse sfuggito.
L’impianto, dunque, ragionativo – su questo punto – è davvero difettoso e da “par tuo”: di un tu con cui, io, figlio di un povero ma onesto falegname, niente ho né voglio avere da spartire per via di queste iattanti premesse: io che non ho realizzato scalate sociali né ho messo su – da povero qual potevo essere prima – quattrini e beni a strafare fino a diventare (voglio ricordarti alcune tue parole di un’intervista rilasciata a Luigi Bardelli, informatore, nel tuo pensiero, ovviamente, di altra caratura, rispetto al me indegno e disonesto), fino a «diventare – dicesti – Presidente di quella banca nella quale, da piccolo, andavi a impegnare le lenzuola di casa»… Troppa pare essere stata la ferita dell’umiliazione, se ancor oggi distingui, caro Ivano, le tue umili commerciali dal mio stranobile liceo classico!
E già qui, mi pare, c’è una sostanziale differenza fra noi: tu, oggi, ricco epulone, e io, oggi, povero che aspetto le briciole della tua mensa. Tu Prof., come si legge anche nella tua mail, e io che vengo apostrofato con il titolo di povero Egregio signor Bianchini!
Le cose che tu hai detto a Montale, non solo le ho ben sentite: ma se tu volessi essere così bravo, gentile e ‘cristiano’ da farmele avere, te le pubblicherei tutte, magari a puntate, su questo blog snaturato, che tanto infastidisce te e questa “par tua” città.
Magari, vista la tua ‘pontificia corte’ di via De’ Rossi che ti ritrovi alla fine – come dici tu – della tua lunga vita & carriera, potresti gentilmente fare sbobinare il tuo intervento montalese (hai anche gente ad hoc, credo; uno staff di dipendenti ben pagati e che possono ben farlo) e renderlo davvero pubblico a tutta la provincia e a tutti i lettori: e così ognuno potrebbe farsene un’idea precisa ed esauriente.
Ma le idee e le affermazioni, caro Ivano, devono essere – e qui dimostri una certa debolezza nella tua preparazione, nonostante la cattedra universitaria che hai ottenuto – devono essere “scientificamente filologiche”: cioè supportate da concreti sostegni e pezze di appoggio: o altrimenti (come del resto hai fatto prima quando dicevi che io ho sparso veleni) affermare senza provare è – consentimi la metafora tratta dall’ambiente che tu bene conosci – come autorizzare un mutuo o un prestito senza acquisire, contestualmente, le dovute e necessarie garanzie per far scivolare in tasca a qualcuno soldi di altri: altri che potrebbero, in séguito, restarne privi in caso di insolvenza dell’ipotetico beneficato.
Non so se mi sono spiegato a sufficienza e se mi sono fatto capire in semplicità, senza abusare di quella mia superiore cultura di cui mi accusi – credo – assai ingiustamente e gratuitamente, cioè senza avere argomentato a dovere. In caso negativo, però, interpellami liberamente di nuovo: io non te la tolgo la parola, come hai intenzione di fare tu in tutta la tua cristiana tolleranza; e neanche ti toglierò il saluto pur se – sotto la crosta della tua forma perfetta e ineccepibile – si sente, si percepisce, si avverte, si respira, oggettivamente, da ogni tua espressione stizzita, indignata, repressa, compressa, contenuta, sorvegliata, una sostanziale e tangibile popolana scortesia: non certo da “par mio”, come mi scrivi.
I presenti a Montale, Ivano, lasciali stare. Li hai opportunamente confusi con la tua luce: quella diretta – dinanzi ai Prof. la gente semplice fa come Renzo dinanzi ad Azzeccagarbugli: sta in piedi, sull’attenti, imbarazzata e con il cappello in mano –; e quella riflessa nelle parole della tua gentile presentatrice, tua ex-allieva in quel rito accademico e più che cattedratico cachedratico (così in un’operetta simpatica, pur se non finissima, riedita dal Prof. Giancarlo Savino per la Forteguerriana, la famosa Petologia. Ossia origine utilità e necessità delle corregge, che forse non saprai cos’è e che potrei donarti, se tu lo volessi), che ha aperto quel tuo interessante e “ameno nulla” di quella serata in casa-Firindelli.
Mandami, Ivano, la registrazione e… anzi: analizziamola insieme – parola a parola – magari in un bel contraddittorio, fra me e te, nella tua splendida dimora di via De’ Rossi, dove, del resto, io ho lavorato per quasi cinque anni come redattore ordinario del Tirreno (non te la avrò mica… contaminata?), sempre che tu non abbia paura del vis-à-vis – o se, dall’alto del tuo soglio di Prof., non giudichi sconveniente parlare, piuttosto che con un “par tuo”, con un semplice signore, epiteto che mi hai rivolto con evidente scopo e intento di far vedere la cristiana distanza che passa – e meno male, dico io – fra te, uomo arrivato in tutti i sensi, e me, povero straccione di un carbonaio che, alla maniera del Marchese Del Grillo, “non conta un cazzo”.
Quanto alla “pasta del mio onesto giornalismo” – per usare le tue sante cristianamente amorevoli parole –, mio caro Ivano, una volta ancora non dài e non riesci (perché non puoi) a dare una ed una prova soltanto di quello che ti sforzi di dimostrare: che sei un martire, che sei un perseguitato da gente “par mio”.
Questo “onesto” giornalismo ti ha solo rivolto una precisa serie di domande a nessuna delle quali, chiarissimo Prof., replichi in maniera appropriata. E per replica – e come cattedratico dovresti saperlo per tua stessa natura – si intende confutazione puntuale non con urla strazianti e pianti e lamenti, in cui si dice «non mi possono vedere e ce l’hanno con me», ma indicando, come in un estratto conto, di quelli a cui tu sei abituato, tutte le entrate e tutte le uscite: per arrivare, alla fine, a un saldo o in nero o in rosso.
Sono certo che quando eri al comando della fu Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, questo volevi e non altro dai tuoi amati fratelli che venivano a rivolgersi a te.
Ama – allora – il prossimo tuo come te stesso (almeno questo il tuo Vangelo senza soluzioni lo dice?) e non fare agli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te: perciò, Ivano, non fare a me, quello che io non ho fatto a te; non attaccarmi senza una seria sequenza di elementi, ma dicendo solo che sono un disonesto malevolo.
Io ti ho fatto domande: lìmitati a rispondere ad esse, senza parlare di “pari miei” (cosa di cui, ti dirò, vado molto fiero). Solo così, rispondendo e dimostrando che quel che ho detto non è vero, potrai far valere la bontà (per ora indimostrata, Ivano) della tua tesi di ingiustamente perseguitato.
Dimostrami e dimostraci, poi, quali sono i pretesti da me assunti per insultare: spiegami e spiegaci su cosa si basino, in che cosa consistano, in che cosa siano errati. Perché non si allude e non si insinua quando si fanno delle domande: ma, al contrario, si allude e si insinua quando – come stai facendo tu con questo tuo smilzo scritto – si innalzano delle geremiadi (lo sai il significato del termine, vero?) sul nulla più nulla del nulla.
Te l’ho già detto: avanza, da “par tuo” e della schiera dei Cristiani di cui dici di fare parte, a testa altra fra i leoni e incontro a loro: e non temere. Fatti sotto e testimonia, rispondendo, e non tacendo o nascondendo la tua vera fede: perché la fede senz’opere è morta, diceva un personaggio che tu dovresti conoscere meglio di me; quel San Paolo a cui sempre si richiama la tua Chiesa.
E che tu abbia le idee confuse dal maligno (Paolo VI disse, se ricordi, che il diavolo esiste davvero, fisicamente) lo dimostra anche il fatto – attenendosi sempre filologicamente alle tue parole – che in una polemica che è fra me e te, cavi fuori e trascini in mezzo (ma perché mai?) anche gente che non c’entra: «come fa il Suo collaboratore Felice De Matteis, che intinge la penna nello stesso inchiostro, forse pensando di servire qualche causa o forse servendola veramente».
Ti rendi conto, Ivano, di quando stai andando fuor di strada? Se a De Matteis hai da dire qualcosa, a lui rivolgiti: io che c’entro? E questo mio non è un escamotage alla San Pietro (voi cattolici siete abituati alla frase «non lo conosco»…): è semplicemente un binario di logica lungo il quale, mi spiace, ma tu non stai scivolando. Io mi chiamo forse Felice De Matteis? E allora perché tirarlo in campo? Perché forse il Pontefice, che coniuga cielo e terra, Vangelo e Politica, Fede e Quattrino, parla ex cathedra ed ha quindi il requisito del dogma della – peraltro assai contestata – infallibilità?
Guarda, Ivano… Se non fosse una battuta volgare, mi scapperebbe di dire che stai «pisciando clamorosamente fuori del vaso». Ma forse posso anche dirlo, dati tuoi umili natali (da te stesso dichiarati nella storia della tua umile carriera scolastica) che non ti faranno – come dire? – arricciare o storcere il naso…
Il tuo problema, Ivano – come quello di certi parvenu e di molta parte di questa città che tace e dei suoi poteri che contano davvero –, è uno e uno soltanto: che dal dopoguerra in poi, da quando avete, in diversi, invaso il potere e messo il collo della gente sotto la forca caudina del vostro libero arbitrio, non vi era mai capitato qualcuno che, guardandovi in faccia, non vi temesse: perché da voi non ha avuto (non avendolo voluto) un solo favore in cambio del quale il potere laico/evangelico si sarebbe fatto ripagare mille volte tanto.
Non te lo saresti mai aspettato neppure tu, così cattedratico, ma così fragile sotto certi aspetti di preparazione culturale: quelli che tu stesso senti che ti mancano e che mi rimproveri (ma io che colpa ne ho se il cuore è uno zingaro e va…?) quando parli della tua scuola di avviamento professionale e deridi il mio liceo Forteguerri, sottintendendo che tu hai sfondato e io no. Ma a me non importa: io so, Ivano, che è finito l’Impero Romano e vuoi che mi preoccupi del tuo rimprovero dopo una così lunga vita di successi?
Siamo polvere e cenere: e anche tu, mio Professore, lo sarai. Ognuno ha la sua vita, Ivano.
Ti chiedi quale sia la nostra causa, quella cui serviamo in questo blog? Stiamo facendo domande che vogliamo che tu smentica: ma nella denegata ipotesi che tu non le smentica, saremo autorizzati a ritenerle vere e credibili in ogni loro parte. Il resto non ci interessa e non ci impaura.
«Come vede – scrivi –, questa volta ho risposto, non nel merito del Suo commento»: lo vedo che non hai risposto nel merito del mio commento; anzi, non hai proprio risposto. E questo, caro Ivano, si fa quando non ci è possibile rispondere, quando non abbiamo argomenti. Il tuo conto corrente, perciò, è paurosamente in rosso, le tue finanze intellettive, ragionative e argomentative sono fallimentari: il risultato è il default.
Per il resto sì: ho avuto la fortuna di studiare al Forteguerri e posso dire di sapere di greco e di latino e non solo, caro compagno di viaggio in questa vita che tratterà entrambi nello stesso modo e con la stessa umile fine.
Ma non importa che tu lo rammenti a forza, come se “dirlo volessi perché doler mi debba” e con l’acredine e la sindrome di chi si sente minus habens: alla fine, grazie alla tua indiscussa bravura, hai salito la scala del cielo come il profeta della Bibbia, mentre io sono rimasto a terra come un povero coglione qualsiasi: ma un coglione che ti parla mentre tu fuggi e taci e balbetti e non sai che dire; un coglione che ti chiede e tu che farfugli e blateri (che nel Medioevo è il verso del montone-capobranco, nel caso che tu non lo sapessi).
Io non ti ho chiamato ignorante né ti ho offeso – e sono un laico –: mentre tu, cattolico ed evangelico, mi hai rimproverato di essere bravo con un tono da coglionella che non sta bene a chi, la sera, non può andare a letto senza prima avere recitato doverosamente le orazioni a Dio e non a Mammona.
Ed ecco che la tua superbia arriva all’apice e chiude: «Ma, per rispetto di coloro che mi hanno ascoltato a Montale, non potevo tacere. Ma non la disturberò una seconda volta».
Da ineccepibile cattolico cristiano, non vai a cercare il fratello che – stando a quello che dici – sbaglia: no. Hai rispetto dei tuoi e – ex adverso ed inequivocabilmente – spregi chi non è come te, chi non ti segue, chi non ti ossequia, chi ti mette in imbarazzo.
Se il cristianesimo è questo, bene: io non voglio essere cristiano, caro Ivano, non povero di spirito, ma ricco di alterigia malcelata sotto un malcelato rispetto formale dell’avversario e del contraddittore.
Grazie per avermi classificato come falso e sedicente pubblicano e – dulcis in fundo – per esserti posto, inavvertitamente (ma la filologia non sbaglia mai) nella schiera dei farisei.
Con il tuo intervento, mi hai perfettamente convinto che davvero la Chiesa, in duemila anni, non ha inciso di una tacca sulla qualità della vita.
Fraterni abbracci laici,
Edoardo Bianchini

P.S. – Chiarissimo Professore, ricordati che anch’io sono un Professore: ti piaccia o no. Anche se a me non piace punto (questo è un francesismo), vista la qualità dei Professori di questo Paese cattolico…
Sempre pronto a incontrarti pubblicamente per un bel contraddittorio su tutte le tesi insulse che hai sostenuto a Montale.

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[Giovedì 13 dicembre 2012 - © Quarrata/news 2012]

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